Mentre si stanno ultimando i lavori di recupero degli edifici nati come Macello della città di Udine nel 1924 e in attesa di realizzare l’allestimento permanente, temi e riflessioni di un museo di storia naturale divengono un percorso di una mostra che attraversa spazi rielaborati dal punto di vista funzionale: laboratori didattici divengono sale espositive, aree verdi sono ripensate come un Open Air Museum e luoghi generalmente esclusi alla visita del pubblico, quali depositi ed archivi, si trasformano in ambienti aperti alla conoscenza di tutti. Sul web temi e concetti sono proposti in un percorso multimediale realizzato grazie al Progetto finanziato dal POR FESR 2014-2020 Asse 4 Sviluppo urbano Azione 4.1 ‘Musei e Biblioteche digitali’.
Il percorso si snoda attraverso diverse postazioni tematiche, sia all'interno del Museo che all'aperto, che illustrano la storia del Museo, il suo patrimonio paletnologico e paleontologico, alcuni habitat significativi della Regione e l'impatto delle attività umane sul nostro territorio.
Per approfondire gli argomenti trattati dalla mostra è stato realizzato un booklet che si può scaricare qui.
Nell’alta pianura friulana, caratterizzata da suoli ghiaiosi poveri di nutrienti, si possono formare i magredi: prati ricchi in specie vegetali, fra cui molte orchidee. Spesso la loro permanenza dipende dall’azione dell’uomo attraverso lo sfalcio periodico. Si può osservare un esempio di habitat magredile presso il giardino del Museo. Dove si incontrano i terreni permeabili dell’alta pianura con quegli impermeabili argillosi della bassa pianura, le acque, accumulatesi nelle falde acquifere sotterranee, riaffiorano nelle ‘olle’, dando origine alla fascia delle risorgive. Si estende a sud di una linea che idealmente unisce le località di Polcenigo, Casarsa, Codroipo, Castions di Strada, Palmanova fino a Monfalcone. Presso l’Orto Botanico Friulano è stato ricostruito uno spaccato di area umida, dove si possono osservare alcune specie endemiche.
Nella bassa pianura friulana è ancora possibile osservare lembi relitti dell’antica Silva Lupanica, l’originario bosco planiziale che fino al IV secolo d.C. si estendeva nel territorio compreso tra i fiumi Isonzo e Livenza. Questi boschi sono costituiti da varie specie di latifoglie, mentre nello strato erbaceo diverse piante a fioritura vistosa compiono il ciclo riproduttivo prima della foliazione degli alberi. Una componente importante di questo ecosistema è data dagli alberi deperienti o morti in piedi o al suolo, che rappresentano il cosiddetto legno ‘morto’: ad essi è legato il 30% della biodiversità di un ecosistema forestale. Nel Giardino del museo sono raccolte delle cataste di tronchi e rami deposti al suolo.
Le grotte sono ambienti peculiari nei quali il fenomeno più evidente è la totale assenza di luce, ad eccezione dei primi metri dall’ingresso. Ulteriori caratteristiche sono una certa stabilità della temperatura, che può essere costante nelle parti più interne, e un’elevata umidità. Alcuni animali che vivono nel sottosuolo presentano spiccati adattamenti, quali l’assenza di occhi, la mancanza di colorazione e l’allungamento delle appendici (zampe, antenne). Di questo gruppo fa parte il proteo, unico vertebrato europeo strettamente cavernicolo. Altre specie non presentano cambiamenti morfologici e fisiologici così pronunciati, ma ciò nonostante occupano le cavità sotterranee attivamente, svolgendovi all’interno alcune fasi vitali. Un esempio di questa categoria è rappresentato da alcuni chirotteri troglofili, che possono utilizzare le grotte per riprodursi o per svernare.
Il proteo è un anfibio dai peculiari adattamenti alla vita ipogea. La specie è presente nei sistemi idrici sotterranei delle coste adriatiche orientali, dall’Italia nord-orientale al Montenegro, ed è l’unico vertebrato troglobio della fauna europea.
Difficile riconoscere le tracce delle comunità degli ultimi cacciatori-raccoglitori mesolitici che hanno popolato il Friuli, in quanto le attività di predazione condotte da questi gruppi sono labili e non impattano sul paesaggio. Così i primi indizi delle interazioni tra la nostra specie e l’ambiente sono riconoscibili nelle trasformazioni che le comunità neolitiche operarono allo scopo di svolgere le attività agricole e di allevamento circa 7000 anni fa: il disboscamento di tratti di querceto misto ha consentito loro di realizzare villaggi, coltivare piccoli orti e allevare alcune specie animali.
Il team dell’Università di Ferrara presenta gli ultimi dati sul popolamento degli ultimi cacciatori-raccoglitori in Friuli.
Secondo la tradizione popolare il colle del Castello di Udine sarebbe stato costruito dai soldati di Attila per consentirgli di osservare l’incendio di Aquileia. Ora dati geoarcheologici presentati da Alessandro Fontana dimostrano come il colle sia artificiale e sia stato eretto nell’età del Bronzo, tra il 1400 e l’1300 a.C.
L’essere umano è stato in grado di modificare profondamente l’ambiente in cui vive a proprio vantaggio. La trasformazione del territorio è iniziata millenni orsono con Homo sapiens, ed è cresciuta esponenzialmente man mano che incrementava il progresso tecnologico. Attualmente l’uomo è un elemento chiave del paesaggio e può condizionare l’esistenza di specie, habitat e interi ecosistemi. Nella nostra regione l’impronta umana è stata particolarmente evidente nel settore planiziale: nel mare e in laguna principalmente con le attività di pesca e l’inquinamento; in terraferma con l’agricoltura, che ha stravolto la struttura e composizione dell’assetto territoriale originario. La fascia montana, apparentemente meno compromessa, è stata comunque influenzata dalla selvicoltura e da una gestione ambientale non sempre corretta. Difficile riconoscere le tracce delle comunità degli ultimi cacciatori-raccoglitori mesolitici che hanno popolato il Friuli, in quanto le attività di predazione condotte da questi gruppi sono labili e non impattano sul paesaggio. Così i primi indizi delle interazioni tra la nostra specie e l’ambiente sono riconoscibili nelle trasformazioni che le comunità neolitiche operarono allo scopo di svolgere le attività agricole e di allevamento circa 7000 anni fa: il disboscamento di tratti di querceto misto ha consentito loro di realizzare villaggi, coltivare piccoli orti e allevare alcune specie animali.
L’agricoltura rappresenta uno dei maggiori impatti antropici per l’ambiente naturale. In particolare determina la distruzione e la frammentazione degli habitat naturali e l’apporto di sostanze inquinanti sul territorio.
Le attività umane hanno avuto un impatto significativo sulla copertura boschiva nella nostra regione. In pianura l’antico querco-carpineto è stato quasi completamente distrutto, mentre in montagna l’assetto boschivo è stato modificato da una gestione selvicolturale legata perlopiù alla produzione legnosa.